Il neurobiologo: telefoni come droga Lo sviluppo mentale e’ a rischio

Maffei: la societa’ non dovrebbe prostituirsi alle nuove tecnologie

Lorenzo Guadagnucci
«LA MINISTRA avrà i suoi buoni motivi per introdurre l’uso degli smartphone in classe e cercherò di capire come intende applicare questa novità, ma dal punto di vista concettuale a me sembra un azzardo. L’uso eccessivo dello smartphone può avere effetti molto negativi sullo sviluppo mentale dei ragazzi. L’ho detto e scritto molte volte». Lamberto Maffei, neurobiologo, membro dell’Accademia dei Lincei, è molto scettico sulla novità annunciata da Valeria Fedeli. Che cosa la preoccupa? «Io vedo lo smartphone come una distrazione continua. Come si fa a seguire una lezione e intanto leggere e inviare messaggi?» Fedeli dice che ci sarà un regolamento d’uso molto preciso. «Ma riusciranno a farlo rispettare? E ci saranno insegnanti in grado di guidare gli studenti a un uso utile alla didattica? Mi sbaglierò, ma ho la sensazione che si voglia avallare una cosa che c’è già, visto che molti ragazzi già ora portano lo smartphone in classe». Perché usare lo smartphone è pericoloso? «Perché è un oggettino amichevole ma entra nella nostra vita in modo maleducato e insidioso. Da strumento di comunicazione è diventato un modo di ragionare, come una droga. Lo smartphone tende a produrre un flusso continuo di stimoli, un flusso che alla fine porta all’occlusione del cervello. I neuroni, quando ricevono un messaggio, lo inglobano, e così con due, tre, quattro messaggi, ma poi c’è un limite e la ricezione cessa. Il flusso continuo non rispetta la fisiologia del cervello, alla fine impedisce di pensare». La ministra obietta che non si può mettere un muro fra i comportamenti quotidiani degli studenti e la scuola… «Ma è come dire che abbiamo il nemico alle porte, non siamo in grado di resistere e quindi dobbiamo subire l’invasione. Ecco, è un’invasione. L’educazione dovrebbe servire anche a cambiare il mondo di fuori, non solo a subirne le scelte. E noi non dovremmo prostituirci agli smartphone. Oltretutto ci sono anche interessi economici evidenti. Smartphone e mercato forse sono sinonimi». C’è, in tutto questo, una responsabilità delle famiglie? «Direi che è la responsabilità principale. Sabato scorso ero a Pistoia a parlare di queste cose e durante la conferenza si è alzata una signora, maestra di prima elementare a Firenze, e ha raccontato la sua esperienza: i suoi alunni non parlano, stanno zitti, e quando parlano con gli amici tendono a litigare. Perché? Perché a casa non parlano, specie se non ci sono i nonni. I genitori sono sempre impegnati, hanno vite frenetiche e quando sono presenti stanno spesso al cellulare. Il mio problema, diceva quella maestra, è riportare i bambini a parlare. Ormai è una questione sociale. Ricordo che Steve Jobs, e altri manager della Silicon Valley, dichiaravano di non concedere l’uso degli smartphone ai loro figli nell’età dell’adolescenza». Che succede al cervello se si parla poco? «Succede che il lobo del linguaggio funziona molto meno e quello è il lobo della ragione e della razionalità. I neuroni non sono troppo diversi dai muscoli, se non vengono usati diventano flaccidi». Al posto del ministro vieterebbe gli smartphone? «Non lo so, c’è anche un tema di libertà individuale. Sarebbe un po’ come negli Stati Uniti, dove le rivoltelle non possono entrare in classe… Siamo di fronte a una rivoluzione e io la vedo negativamente, ma forse sono nella posizione del conservatore invecchiato».
tratto da La Nazione